Determinazione
nr. 5 del 27/3/2002 Fenomeno dei ritardati pagamenti negli appalti di lavori pubblici |
Il Consiglio dell’Autorità, nell’ambito dell’indagine conoscitiva e del relativo approfondimento sul fenomeno dei ritardati pagamenti da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, avviato nel corso del 2001, ha ritenuto di analizzare alcuni aspetti della problematica, indicendo apposita audizione e sottoponendo le questioni emergenti all’attenzione dei firmatari dei protocolli d’intesa.
In particolare, i profili di approfondimento riguardano le seguenti
problematiche:
1. l’applicabilità delle norme contenute nell’articolo 1194 c.c. secondo cui “ il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore” ( comma 1) e “ il pagamento fatto in conto di capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi” ( comma 2);
2. gli ambiti di applicabilità dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ. che disciplina l’ipotesi del maggior danno nel caso di ritardi riconducibili a comportamenti delle stazioni appaltanti nell’esecuzione dei pagamenti;
3. l’applicabilità di tassi di interesse differenziati in relazione alla durata dei ritardi e di quanto disposto dalla direttiva 35/2000/CE al settore dei lavori pubblici;
4. eventuale computabilità dei tempi della Cassa Depositi e Prestiti ai fini del calcolo del tempo contrattuale medio per la decorrenza degli interessi di ritardato pagamento;
5.
verifica delle problematiche connesse agli aspetti organizzativi e gestionali
delle stazioni appaltanti.
Ritenuto in diritto
Occorre
preliminarmente analizzare il quadro normativo vigente in materia.
L’art. 26, comma 1, della Legge quadro, come modificata dalla Legge 415/98, stabilisce che “in caso di ritardo nell’emissione dei certificati di pagamento o dei titoli di spesa relativi agli acconti, rispetto alle condizioni o ai termini stabiliti nel capitolato speciale che non devono comunque superare quelli fissati dal capitolato generale, spettano all’esecutore dei lavori gli interessi legali e moratori….”.
Resta
ferma la facoltà dell’esecutore medesimo, “trascorsi i termini di cui
sopra, ovvero nel caso in cui l’ammontare delle rate di acconto per le quali
non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa
raggiunga il quarto dell’importo netto contrattuale di agire ai sensi
dell’art.1460 c.c. ovvero, previa costituzione in mora dell’amministrazione
e, trascorsi sessanta giorni dalla data della costituzione stessa, di promuovere
il giudizio arbitrale per la dichiarazione di risoluzione di contratto”.
Per
quanto invece riguarda il
pagamento della rata di saldo, l’art.
28 comma 9
della Legge quadro prevede
che lo stesso “deve essere effettuato non oltre il novantesimo giorno dalla
emissione del certificato di collaudo provvisorio ovvero del certificato di
regolare esecuzione”, purché sia stata presentata la prevista polizza
fideiussoria.
L’art.
116 del D.P.R. 554/99, al comma 1, rinvia all’articolo 26 della Legge quadro
per quanto attiene il ritardato pagamento delle rate di acconto e, al comma 2,
per quanto riguarda la rata di saldo dei lavori, estende alla stessa la
disciplina sugli interessi per il ritardo nel pagamento degli acconti.
La
stessa norma al comma 3, dispone che nel caso di concessioni di lavori pubblici,
ove sia previsto il pagamento di un prezzo “in più rate annuali”, sarà il
disciplinare di concessione a dover prevedere la decorrenza degli interessi per
ritardato pagamento.
L’art.
116, comma 4, infine stabilisce che “l’importo degli interessi per ritardato
pagamento viene computato e corrisposto in occasione del pagamento in conto e a
saldo immediatamente successivo a quello eseguito in ritardo, senza necessità
di apposite domande o riserve”.
Il
nuovo Capitolato Generale d’appalto, approvato con D.M. 19 aprile 2000, n.
145, infine, all’art. 29 fissa i tempi per il pagamento di acconti e saldo ed
all’art.30 dispone in ordine all’entità
degli interessi in caso di ritardati pagamenti.
A
partire dalla maturazione di ogni stato di avanzamento dei lavori, infatti, il
termine per l’emissione dei certificati di pagamento relativi agli acconti non
può superare i 45 giorni. Una volta emesso il certificato, il pagamento va
disposto mediante specifico ordine (mandato) entro i 30 giorni successivi.
Ove
il certificato venga emesso oltre i 45 giorni suddetti, vanno riconosciuti
all’appaltatore gli interessi corrispettivi al tasso legale sulle somme
dovute. Se il ritardo supera i 60 giorni, dovranno essere corrisposti dal giorno
successivo gli interessi moratori.
Qualora
il pagamento sia effettuato oltre i 30 giorni dalla data di emissione del
certificato, gli interessi legali scattano dal giorno successivo fino al
sessantesimo giorno di ritardo, data a partire dalla quale sono dovuti gli
interessi di mora. Presupposto essenziale è comunque che il ritardo sia
imputabile all’Amministrazione.
Per quanto concerne il pagamento della rata di saldo il Capitolato Generale ribadisce il temine, previsto dall’art.28 co. 9 della Legge quadro, dei 90 giorni successivi all’emissione del certificato di collaudo provvisorio ovvero del certificato di regolare esecuzione, a sua volta da emettersi rispettivamente entro sei mesi ed entro tre mesi dall’ultimazione dei lavori.
Sempre
ai sensi del Capitolato Generale, ove l’appaltatore non abbia preventivamente
presentato la garanzia fidejussoria prevista dall’art.28
comma 9
della Legge a
copertura della stessa rata di saldo, il termine di 90 giorni decorre dalla data
della presentazione della stessa; se si verificano ritardi rispetto a tale
termine, scattano gli interessi legali e quindi, dal sessantesimo giorno di
ritardo, quelli di mora.
Inoltre,
il saggio degli interessi di mora è comprensivo del maggior danno ai sensi
dell’art.1224, comma 2, del codice civile.
Relativamente ai profili di cui alle premesse si formulano le seguenti osservazioni.
1. In ordine alla problematica concernente l’applicabilità del disposto di cui all’art. 1194 c.c. in materia di “imputazione del pagamento” nei casi di pagamento effettuato con ritardo dalla pubblica amministrazione, si ritiene che la disciplina della tardiva emissione dei certificati di pagamento e dei titoli di spesa è da ricondursi nell’ambito delle previsioni codicistiche, nella scia del riconoscimento, già effettuato dalla giurisprudenza, di una sostanziale parità fra pubblica amministrazione e soggetti privati nei rapporti contrattuali. Ne discende che, ove non diversamente e pattiziamente statuito, trova applicazione il disposto di cui all’articolo 1194 c.c., che prevede che il pagamento stesso non possa essere imputato al capitale senza il consenso del creditore e che il pagamento fatto in conto di capitale ed interessi debba essere imputato prima agli interessi.
L’applicabilità della norma in questione presuppone chiaramente la contemporanea esigibilità del credito sia per il capitale che per gli interessi e le spese, nel senso di infruttuoso decorso dei termini fissati per l’amministrazione per provvedere ai pagamenti stessi.
2. Per quanto concerne l’ambito applicativo dell’articolo 1224, comma 2, del c.c. si osserva quanto segue.
L’articolo
26 della legge 109/94 e s.m.i. prevede che gli interessi sono dovuti “in caso
di ritardo” da parte dell’amministrazione ed il loro importo, ai sensi del
comma 4 dell’articolo 116 del DPR 554/99, viene “corrisposto in occasione
del pagamento, in conto e a saldo, immediatamente successivo a quello eseguito
in ritardo, senza necessità di apposite domande o riserve”: la previsione
dell’automatica decorrenza degli interessi moratori, sia pure nel presupposto
di cui al primo comma dell’articolo 30 del capitolato generale “della causa
imputabile alla stazione appaltante”, una volta scaduto il termine previsto
dal capitolato speciale o, in mancanza di specifica previsione, da quello
generale, costituisce una deroga all’articolo 1219 c.c. in ordine all’onere
della previa costituzione in mora.
La
disciplina codicistica sull’inadempimento delle obbligazioni trova previsioni
derogatorie nelle norme del capitolato generale, innanzitutto nella previsione
dei termini per l’emissione dei titoli di liquidazione e di spesa, ai sensi
dell’articolo 29 dello stesso capitolato, che tengono conto dei fisiologici
tempi necessari all’organizzazione e all’attività procedimentale della
pubblica amministrazione. Inoltre, la normativa citata prevede che
l’inosservanza dei termini fissati per causa imputabile alla stazione
appaltante comporta il pagamento all’appaltatore degli interessi corrispettivi
al tasso legale sulle somme dovute, nonché qualora il ritardo superi i 60
giorni, il riconoscimento degli interessi moratori determinati annualmente con
apposito decreto ministeriale; detti ultimi interessi moratori sono dovuti dal
giorno successivo e sono comprensivi del maggior danno ai sensi dell’art.
1224, comma 2, codice civile.
Al
riguardo si osserva che, in primo luogo, il solo presupposto oggettivo del
ritardo non è sufficiente a determinare l’obbligo della corresponsione degli
interessi, dovendosi inoltre verificare la condizione dell’imputabilità alla
stazione appaltante del ritardo stesso. Da ciò consegue che sono improduttivi
di interessi a carico della stazione appaltante i ritardi imputabili ad eventi
non dipendenti dal committente, quali l’ipotesi di causa di forza maggiore
ovvero fattispecie riconducibili a fatto dello stesso appaltatore.
In
secondo luogo, occorre rilevare che il legislatore, disponendo che gli interessi
di mora comprendono anche il risarcimento dell’eventuale maggior danno ex art.
1224, comma 2, c.c., ha inteso preventivamente determinare in via forfetaria e
con criteri certi l’ammontare del danno da ritardo nei pagamenti.
Occorre
ora chiedersi se detta quantificazione preventiva estingua in toto la pretesa
risarcitoria dell’appaltatore per danno abnorme ovvero se gli interessi di
mora comprensivi del maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c. non siano di per
sé idonei a coprire tutte le possibili variabili sottese alle singole
fattispecie, quali le dimensioni e la situazione economica dell’impresa
appaltatrice, l’entità dei lavori oggetto dell’appalto, l’entità del
tasso di inflazione.
Al riguardo si ritiene che, anche in tali ipotesi, sussista la piena operatività dell’articolo 1224, comma 2 del c.c., assunto che trova conferma nella recente decisione della Corte di Cassazione (sentenza 9653 del 17.7.2001) che ha posto fine al contrasto della giurisprudenza sulla questione se la somma liquidata a titolo di interessi per il ritardo del pagamento di somma capitale ai sensi degli articoli 35 e 36 del DPR 1063/1962 (oggi articoli 29 e 30 del DM 145/2000) per il ritardo del pagamento degli acconti e del saldo degli appalti di opere pubbliche sia suscettibile o meno di rivalutazione monetaria.
Le
Sezioni Unite della Corte hanno stabilito infatti che “a tutte le obbligazioni
aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale
spettino interessi di qualsiasi natura, compresi quelli di cui agli articoli 35
e 36 del capitolato generale di appalto per le opere pubbliche approvato con DPR
1063/1962 è applicabile, in mancanza di usi contrari, la regola
dell’anatocismo dettata dall’articolo 1283 c.c., dovendo escludersi che il
debito per interessi, anche quando sia stata adempiuta l’obbligazione
principale, si configuri come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale
derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonché al risarcimento
del maggior danno ex articolo 1224, secondo comma del codice civile”.
In conclusione, quindi, si ritiene che la disciplina in materia di ritardati pagamenti contenuta nell’art. 26 della legge 109/94 e s.m.i. e negli artt. 29 e 30 del D.M. 145/2000 copre ogni ipotesi di conseguente danno, in concreto derivatone, e può essere validamente opposta ad ogni ulteriore pretesa risarcitoria.
In alternativa al sistema sopra delineato di preventiva determinazione dell’ammontare del danno per ritardati pagamenti, l’art. 26, comma 1, della legge quadro, fa salva la facoltà dell’appaltatore di agire ai sensi dell’art. 1460 c.c. che consente allo stesso, indipendentemente dalle ragioni del ritardo, purché ascrivibile all'amministrazione, di adottare l’eccezione di inadempimento, interrompendo l’esecuzione dei lavori con le conseguenze da ciò derivanti in termini di diseconomicità dell’intervento.
3.
In ordine alla possibilità di prevedere in contratto tassi di interesse
differenziati in relazione alla durata dei ritardi ed alla relativa incidenza
sull’importo contrattuale, si ritiene che ciò rientri nell’ambito
dell’autonomia negoziale delle parti che possono sempre derogare al saggio
legale fissando il tasso d’interesse in misura superiore od inferiore (cd.
interessi convenzionali).
A
tal fine occorrerebbe prevedere nel capitolato speciale uno scadenzario sulla
base del quale differenziare i tassi di interesse per i pagamenti in ragione del
ritardo accumulatosi.
Sulla
questione, tuttavia, occorre anche tener conto della direttiva 35/2000/CEE del
29.6.2000 relativa alla “Lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni
commerciali”, che prevede che i termini di pagamento debbano essere fissati,
di norma, in 30 giorni, superati i quali la misura degli interessi di mora è
pari al tasso d’interesse praticato dalla banca centrale europea nelle
operazioni di rifinanziamento, maggiorato di almeno sette punti percentuali.
Per quanto attiene la direttiva comunitaria in questione, la stessa si caratterizza per due principi fondamentali: il riconoscimento della libertà contrattuale delle parti, da un lato, e l’introduzione di regole comuni per le transazioni commerciali fra privati e nei rapporti con la pubblica amministrazione dall’altro. Sono previsti, tra l’altro, termini di pagamento più brevi, l’ammontare degli interessi di mora rimesso alla libera contrattazione delle parti, la previsione per il creditore di chiedere, oltre agli interessi di mora, ulteriori risarcimenti proporzionali al danno subito per il recupero crediti.
La
direttiva non è però direttamente applicabile alla materia dei lavori
pubblici, dato che il suo ambito è limitato ai pagamenti effettuati a titolo di
corrispettivo per le transazioni commerciali fra imprese e fra imprese e
pubblica amministrazione, laddove per transazioni commerciali si intendono i
contratti che “comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi
contro pagamento di un prezzo.”
Si
ritiene che l’ipotesi di una applicazione estensiva della direttiva agli
articoli 29 e
30 del DM 145/2000 non sia percorribile, in quanto se da un lato per
interpretazione estensiva si intende l’accoglimento di un significato che si
estende fino ai limiti massimi della portata semantica, secondo l’uso
linguistico generale, dell’espressione da interpretare, dall’altro si
ricorre al procedimento analogico nel caso di lacuna dell’ordinamento.
Tuttavia,
la strada percorsa dalla direttiva appare in linea con l’attuale orientamento
dottrinale e giurisprudenziale che sempre maggiormente si risolve nel
riconoscimento di una par condicio fra amministrazione e privati con
applicazione quindi di regole paritarie e di abbandono di quella posizione di
supremazia riconosciuta in passato all’autorità pubblica in nome della
prevalenza dell’interesse pubblico rispetto a quello privato.
Al
riguardo l’Autorità si riserva di effettuare apposita segnalazione al Governo
ed al Parlamento.
4. In relazione alla eventuale computabilità dei tempi della Cassa Depositi e Prestiti ai fini del calcolo del tempo contrattuale medio per la decorrenza degli interessi di ritardato pagamento, il comma 3.2 dell’articolo 13 del decreto legge 28.2.1983 n. 55 convertito con legge 26.4.1983 n. 131, prevede che qualora la fornitura di beni e servizi venga effettuata con ricorso a mutuo della Cassa Depositi e Prestiti, il calcolo del tempo contrattuale per la decorrenza degli interessi di ritardato pagamento non tiene conto dei giorni intercorrenti tra la spedizione della domanda di somministrazione e la ricezione del relativo mandato di pagamento presso la competente sezione di tesoreria provinciale, purchè tale circostanza sia stata richiamata nel bando di gara.
Al riguardo si osserva che, trattandosi di norma derogatoria al generale principio della responsabilità patrimoniale del soggetto che incorre nel ritardo a corrispondere il pagamento, non sembra ad essa applicabile un’interpretazione estensiva tale da renderla cogente anche per il settore dei lavori pubblici.
5. L’ipotesi di pagamento effettuato dalla stazione appaltante direttamente al subappaltatore o al cottimista per l’importo dei lavori dagli stessi effettuati, quale sistema per evitare a questi ultimi gli effetti negativi derivanti dai pagamenti corrisposti in ritardo all’appaltatore principale, è fattispecie espressamente prevista dal comma 3/bis dell’articolo 18 della legge 55/1990, nel testo vigente. Si ritiene tuttavia, che tale previsione, volta a tutela delle imprese subappaltatrici, nel comportare ulteriori incombenze alle amministrazioni, non aiuti a risolvere la problematica dei ritardati pagamenti che trova una delle ragioni del fenomeno in motivi legati ad aspetti organizzativi interni alle stazioni appaltanti.
In relazione a questi ultimi ed, in particolare, per quanto attiene ai ritardi nei pagamenti legati ai trasferimenti dei finanziamenti dal centro alle sedi periferiche di gestione ed alla necessità di regole chiare per la gestione dei fondi, esigenza ormai non più procrastinabile, stante che la pubblica amministrazione nei rapporti contrattuali non ha alcuna posizione differenziata rispetto al privato contraente e non potendo quindi esimersi dall’assunzione di responsabilità legate a fattori organizzativi, appare necessaria l’adozione nelle amministrazioni pubbliche di interventi gestionali ed organizzativi che realizzino un’effettiva e reale razionalizzazione delle procedure al fine dell’informatizzazione delle varie fasi della gestione amministrativa.
In proposito l’Autorità si riserva di effettuare apposita segnalazione al Governo ed al Parlamento.
Dalle
considerazioni svolte segue che:
1) Ove non diversamente pattuito, l’art. 1194 c.c. si applica in caso di ritardo nei pagamenti da parte delle stazioni appaltanti con la conseguenza che gli stessi non possano essere imputati al capitale senza il consenso del creditore e che il pagamento fatto in conto di capitale ed interessi debba essere imputato prima agli interessi;
2)
La disciplina in materia di ritardati pagamenti contenuta nell’art.
26 della legge 109/94 e s.m.i. e negli artt. 29
e 30 del D.M. 145/2000 copre
ogni ipotesi di conseguente danno in concreto derivatone e può essere
validamente opposta ad ogni ulteriore pretesa risarcitoria;
3) l’art. 13, comma 3.2, del D.L. 28 febbraio 1983 n. 55, convertito
con legge 26 aprile 1983 n. 131, in
quanto norma derogatoria al generale principio della responsabilità patrimoniale
del soggetto che incorre nel ritardo a corrispondere il pagamento, non è applicabile,
mediante interpretazione estensiva, al settore dei lavori pubblici.
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